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L’igienizzazione delle mani, insieme al distanziamento sociale e l’utilizzo delle mascherine, è stata una delle misure preventive per contrastare il COVID-19. Adesso che sta per finire lo stato di emergenza in Italia, cosa succederà?
Ci sono varie ipotesi sulla fine della pandemia, ciò che appare, tuttavia, chiaro è che non bisogna abbassare la guardia circa la prevenzione e la prudenza avuta finora. In particolare, secondo alcuni pareri autorevoli, una risalita dei contagi, seppur remota, non è del tutto scongiurata.
Pertanto, nonostante il virus stia perdendo forza virale, è bene non perdere le buone abitudini di sanificazione adottate da due anni a questa parte.
In questo articolo, riporteremo studi scientifici, facendo un focus sulle prospettive della pandemia, su quando potremo dire di esserne veramente usciti e sul perché anche post-COVID non dovremmo mai abbassare la guardia in fatto di igiene delle mani e prevenzione in generale.
«Credo che nel momento in cui finirà questa ondata, in primavera, noi avremo ragionevolmente il 95% e forse più degli italiani che avranno una sorta di immunità, cioè saranno protetti chi dal vaccino, chi dalla malattia»,
Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova.
In Italia, quindi, si sta già pensando a togliere qualche restrizione, una volta conclusa la fase emergenziale al 31 marzo. Grazie ai vaccini, infatti, la gestione del virus è rimasta sotto controllo, senza dimenticare le piccole grandi abitudini di prevenzione.
Igienizzazione delle mani e distanza di sicurezza, per esempio, sono delle abitudini che, anche a pandemia conclusa, dovremmo, in qualche caso continuare ad avere. Infatti, con la bella stagione in arrivo e probabile che l’obbligo di mascherine ffp2 non ci sarà più in molte situazione di vita sociale, ma sarebbe bene, come vedremo, continuare ad avere prudenza.
Ci stiamo avvicinando, probabilmente, al momento in cui trattare il COVID-19 non più come un’emergenza, ma come la normalità. Da pandemia, il virus, quindi, si avvia a diventare endemico?
Ci sono diversi pareri in proposito. Vediamo nel dettaglio tutte le questioni finora sollevate.
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In alcuni paesi, come nel Regno Unito, si tratta il COVID-19 come se fosse già una malattia endemica, da cui curarsi in maniera seria, ma che è diventata parte della quotidianità della popolazione.
Dal 26 gennaio, infatti, il premier britannico Boris Johnson ha annunciato la decadenza dell’obbligo di mascherina per buona parte delle attività che si svolgono in luoghi al chiuso. Anche la Spagna sta seguendo lo stesso tipo di approccio, anche se con maggiore prudenza ed oculatezza.
«Dobbiamo valutare l’evoluzione del Covid dalla situazione di pandemia vissuta finora verso quella di una malattia endemica» ribadisce Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo. Bisogna, quindi, monitorare l’evoluzione del COVID-19 e trattarla come un’influenza stagionale.
La storia ci insegna che, quasi sicuramente, si andrà verso questa direzione. Ma è già arrivato quel momento?
La malaria, per esempio, è una malattia ancora molto pericolosa e diffusa in zone tropicali, ma è definita endemica. Con attenzione, misure preventive contro le zanzare che la trasmettono e, soprattutto, il vaccino contro la malaria, si combatte ormai da moltissimi anni.
Stiamo parlando di una malattia che ha una mortalità elevata, in certe zone del mondo e per certe fasce di età, ma pur sempre classificata endemica dall’OMS.
Il COVID-19 non ha una mortalità tale, ma di certo ci ha lasciato diverse convinzioni, come dimostra questo studio:
In un’intervista a Sky TG24, il virologo Fabrizio Pregliasco, non esclude altre ondate di coronavirus. “…con una capacità di convivenza e terapia sempre più mirata per evitare gli effetti più pesanti a chi subisce la malattia”. Già nei prossimi mesi, ha aggiunto il virologo, “il virus potrebbe avere un andamento endemico. Ipotizzabile un momento di stanca in estate ed un rialzo nelle stagioni invernali”.
Un andamento a detta di Pregliasco, dunque, che ricalcherebbe quello degli ultimi anni, certamente, con più consapevolezza dei comportamenti preventivi che cittadini e istituzioni devono intraprendere per non cadere, nuovamente, nel baratro. Igienizzanti mani, obbligo mascherine in determinati periodi e contesti e agevolazione degli obblighi vaccinali, su tutti.
L’epidemiologia Eleanor Murray, invece, definisce il concetto di malattia endemica: “Significa che una persona infetta in media ne contagia un’altra in assenza di misure di contenimento”. Pertanto, è plausibile pensare che il Covid-19 diventi endemico, che non scompaia ma che continuerà ad esistere, in forma stabilizzata.
C’è, invece, chi reputa ancora frettolosa la definizione di endemia, per quanto riguarda il COVID-19.
“Trattare Covid come influenza? Io penso che non sia un atteggiamento giusto”. sostiene Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs. “Non bisogna abbassare la guardia. La mortalità oggi è ancora relativamente alta. Sarà la metà del passato, ma c’è ancora. Speriamo che arrivi il momento in cui Covid potrà essere trattato come un’influenza, o come un raffreddore…”.
In un’altra intervista recente, anche Vittoria Colizza, direttrice del laboratorio EPIcx, e consulente del governo francese sulla pandemia, sostiene che «non sappiamo con quali scale di tempo si va verso l’endemia». Inoltre, rilancia «…Sempre che non non arrivino nuove varianti con maggior patogenicità o evasione immunitaria. Cosa che al momento non si può escludere»
Il microbiologo prof. Andrea Crisanti dell’Università di Padova sostiene che “se permettiamo a questa malattia di diventare endemica, colpirà via via le persone più anziane e inciderà sulla durata della vita media“. Non bisognerà, quindi, togliere quelle misure e prassi quotidiane che aiutano a prevenire la diffusione del virus.
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Un’interessante statistica, invece, è quella dell’IPSOS Group, una società che fa ricerche di mercato internazionali. La ricerca in questione, pubblicata il 1° marzo 2022, ha indagato su un campione internazionale della popolazione appartenente a 33 paesi diversi. Il quesito era incentrato su quanto tempo si dovrà attendere per tornare ad una vita normale, come prima della pandemia. Ecco i risultati:
Possiamo notare come più del 66% degli intervistati è cautamente ottimista: pensa, infatti, che per tornare alla normalità ci vogliano almeno altri 6 mesi. Questo dato nasconde ancora il timore per nuove ondate di contagi ed un sentimento generale che la crisi non sia del tutto superata.
Analogo il discorso per gli italiani. Infatti, limitatamente agli intervistati del nostro Paese, Ipsos ha riscontrato che:
Un verdetto anche qui abbastanza cauto, rispetto al tornare alla vita pre-COVID-19, che vede ancora piuttosto lontana la fine di questa pandemia.
Senza creare allarmismi, quella da COVID-19 corriamo il rischio che non sia l’ultima pandemia. A causa di inquinamento e cambiamenti climatici, anche il rapporto tra uomo, natura e animali è cambiato.
“Siamo davvero una specie animale, legata indissolubilmente alle altre”, ha detto David Quammen, nel suo saggio del 2013, “Spillover.” Lo spillover non è altro che il famigerato salto di specie che i virus fanno, spesso da animali a uomini.
Come sappiamo, il salto del coronavirus è avvenuto, probabilmente, dal pipistrello o dal pangolino all’uomo. Ma il COVID-19 è solo l’ultimo spillover in ordine di tempo. Il Sars-Cov-1, l’influenza aviaria, l’ebola, l’HIV e persino il morbillo sono tutti virus che hanno fatto il salto da animale a uomo.
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Ecco perché dobbiamo temere altre pandemie: ce ne sono state in passato ed è plausibile ce ne siano ancora in futuro, soprattutto, se pensiamo agli animali selvatici e a come l’uomo sta cambiando i loro habitat naturali.
Anna Cereseto, ordinario di virologia molecolare al dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’università di Trento ci spiega che “Prima solitamente avviene un salto del virus fra animali selvatici appartenenti a specie diverse, successivamente il virus può essere trasmesso direttamente all’essere umano oppure, più facilmente, c’è un passaggio intermedio, attraverso il bestiame negli allevamenti”.
Inoltre, ci fornisce delucidazioni sulla differenza tra COVID-19 e altri virus, rispetto alla latenza. “La comparsa dei sintomi, peraltro spesso molto leggeri e facilmente confondibili con quelli di altre malattie infettive, avviene qualche giorno dopo il contagio e così il virus ha avuto tutto il tempo di diffondersi nella popolazione, cosa che non è avvenuta ad esempio nella Sars, in cui la malattia si manifestava subito”.
Altri coronavirus, dello stesso ceppo del COVID-19, sono presenti sempre nei pipistrelli. C’è da dire però che le malattie molto contagiose, di solito, sono quelle meno letali come dice la stessa Cereseto. “La maggiore trasmissibilità è associata a una letalità solitamente bassa”, infatti “…se i sintomi sono rilevanti e la mortalità è elevata, il malato grave non fa neanche in tempo a contagiare altre persone”.
Il rischio è legato, quindi, alle mutazioni che virus come quello dell’aviaria o dell’ebola potrebbero fare, diventando meno letali ma maggiormente trasmissibili, sfociando in vere pandemie.
Ecco perché le misure di prevenzione come l’igienizzazione delle mani, l’utilizzo di mascherine in alcuni casi e il distanziamento sociale diventano degli strumenti per rendere la vita difficile ai virus.
Possiamo affermare, in definitiva, che alcune pratiche saranno fisiologicamente allentate, anche in riferimento alle situazioni ed ai momenti di picco pandemico.
Paolo Bonanni , epidemiologo, professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze, avverte: “Rinunciare di colpo no assolutamente. Dobbiamo aggiustare il tiro e attenuare alcune di queste misure nelle situazioni in cui hanno meno significato. Faccio un esempio: credo che fra un mese o due continuare a mantenere le mascherine all’aperto non avrà molto senso, in condizioni in cui non c’è un affollamento. Per cui certe cose che sono anche da un certo punto di vista difficili da continuare a mantenere, penso che su quello ci potrà essere un rilassamento. Sul fatto di monitorare le dosi di vaccino dobbiamo vedere. Per ora nessuno di noi dice ancora che c’è bisogno di una quarta dose immediata…”
In conclusione, possiamo affermare che è ragionevole pensare come alcune delle misure imposte dal governo avranno una flessione (utilizzo mascherine all’aperto, obblighi vaccinali), ma abitudini come l’igienizzare le mani e la sanificazione in generale, dovrebbero essere una pratica acquisita indispensabile per il futuro.
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