La verità su COVID-19 e inquinamento
I risvolti della pandemia sono stati molteplici, tra gli altri non può passare inosservato il rapporto tra COVID-19 e inquinamento. Dal punto di vista ambientale, nel corso di questi due anni di pandemia, ci sono stati dei pro e dei contro che aprono scenari futuri da considerare.
In questo articolo, pertanto, parleremo di come l’inquinamento ha influito sul COVID-19, quale relazione c’è tra COVID-19 e inquinamento e perché dovremmo porre attenzione alle misure anticovid che adottiamo ogni giorno.
Il lockdown, durante la pandemia, può avere avuto risvolti positivi a breve termine sul nostro ambiente, ma come renderli duraturi?
Affronteremo il problema della dipendenza dalla plastica monouso e materiali simili per l’utilizzo di mascherine, guanti e articoli di prevenzione.
Vedremo come le politiche di disboscamento, agricoltura e allevamento intensivi rendano più probabile il contagio da malattie zoonotiche (dall’animale all’uomo).
Cercheremo di capire se il miglioramento dei fattori climatici, l’inquinamento atmosferico e acustico e la qualità dell’aria siano a breve termine e come le istituzioni interverranno con politiche decennali.
Ci faremo aiutare, come sempre, da studi e ricerche, dati e statistiche su COVID-19 e inquinamento, ipotizzando soluzioni e prospettive che interessano noi tutti.
COVID-19 e inquinamento: l’impatto globale
Negli ultimi due anni, abbiamo affrontato una situazione pandemica senza precedenti che ha, inevitabilmente, influito (nel bene e nel male) anche su inquinamento ed ambiente.
Osservando il mondo che è andato in lockdown è stato possibile osservare alcune fenomeni interessanti e dare una spiegazione a molti quesiti legati all’ambiente, al clima, agli ecosistemi con cui l’uomo interagisce.
Basti pensare:
- all’inquinamento atmosferico,
- alle politiche di recupero e smaltimento plastica e sostanze chimiche,
- al clima e alle sue politiche
- all’alterazione di ecosistemi animali e vegetali.
Nel corso dei prossimi paragrafi, parleremo di queste tematiche importanti e spiegheremo, con l’aiuto di riferimenti a studi e ricerche pubblicate, perché COVID-19 e inquinamento sono due concetti così fortemente legati.
COVID-19 e inquinamento atmosferico
Il rapporto tra COVID-19 e inquinamento atmosferico è da considerare sotto due aspetti: causa ed effetto. Infatti, da un lato l’inquinamento atmosferico ha condizionato il proliferare di questo e altri virus, dall’altro lato, i lunghi lockdown hanno permesso di abbassare la concentrazione di CO2 in molti luoghi della Terra.
L’inquinamento atmosferico è dato dal proliferare delle famose polveri sottili, formate da microrganismi tossici per l’uomo che si insinuano nelle pareti polmonari, favorendo l’indebolimento e la scarsa funzionalità del nostro apparato respiratorio ed immunitario.
(Conticini, et al., 2020) Altra ipotesi, in via di studio, è quella legata all’alta mortalità in regioni particolarmente inquinate, come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, per rimanere in Italia. L’analisi sull’inquinamento atmosferico si basa sull’ipotesi che il virus possa essere trasportato dalle particelle per lunghe distanze, arrivando ad infettare.
Qualità dell’aria durante il lockdown
Quello che respiriamo, ovviamente, dipende dal luogo in cui viviamo, dalla densità di popolazione, dal clima e dalla stagione.Tuttavia, ciò non toglie che, per molti casi, il COVID-19 si è rivelato mortale per lo stato non ottimale dei polmoni, anche in pazienti apparentemente sani, non fumatori e addirittura sportivi.
A fare da contraltare, c’è stato un auspicabile miglioramento della qualità dell’aria, proprio nei mesi e nelle settimane del lockdown in varie parti del mondo.
I dati mostrano che le concentrazioni di biossido di azoto (NO 2) — sostanza inquinante presente nei carburanti — è diminuita drasticamente nei mesi di marzo ed aprile 2020. L’entità delle emissioni si è, addirittura, ridotta del 70 %. Nei centri urbani più importanti di paesi più colpiti dal COVID-19: Spagna, Italia e Francia.
Dal Giappone, alla Cina, alla Pianura Padana, il miglioramento era tangibile, ma legato all’inevitabile blocco di attività industriali e alla quasi totale assenza di circolazione delle auto e degli aerei di linea. Nella sua drammaticità, la pandemia ha dato la possibilità di testare e verificare alcuni benefici a livello di sostenibilità che, altrimenti, non sarebbe stato possibile verificare.
Uno sguardo, insomma, a quello che potrebbe essere una società attenta all’ambiente. Studiando fattibilità e benefici (a lungo e breve termine) per una vita con ridotte emissioni nell’aria.
D’altronde, il COP21, l’accordo firmato nel 2015 a Parigi (noto anche come Accordo di Parigi) stabilisce delle linee guida precise, che hanno l’obiettivo di evitare pericolosi cambiamenti climatici. L’imperativo è: limitare il riscaldamento globale, attuando politiche e sanzioni.
Semplificando, entro il 2050 si dovrà raggiungere una stabilità data, principalmente, da una drastica riduzione delle emissioni di CO2. In questa direzione vanno tutte le innovazioni tecnologiche a tema mobilità sostenibile.
COVID-19 e sostanze chimiche
Il rapporto tra COVID-19 e sostanze chimiche è, anch’esso, da considerare indiretto, ma in una duplice ottica. Da una parte, infatti, alcune sostanze chimiche hanno reso il nostro organismo molto suscettibile alle varie tipologie di virus, tra cui il coronavirus.
L’altro aspetto da considerare è quello che riguarda l’igienizzazione delle mani e la sanificazione eccessiva, in alcuni contesti e in alcuni soggetti. In particolare, i disinfettanti usati contro COVID-19 includono detersivi/saponi, alcol e cloro.
Secondo la ricerca di Kuldeep Dhama, il cloro è raccomandato come disinfettante per le strutture interne (Yang et al. 2020 ) e per le apparecchiature nelle strutture sanitarie, compresi i dispositivi di diagnostica per immagini.
Per eseguire la disinfezione dell’ambiente e delle superfici bisogna prevedere l’applicazione di:
- 2 g/L di disinfettante contenente cloro almeno quattro volte al giorno per almeno 30 minuti. Inoltre, disinfettanti contenenti cloro per almeno 30 min sono i metodi scelti per la disinfezione dell’aria (Barcelo 2020 ).
- la sanificazione di oggetti personali, come telefoni cellulari, chiavi, carte di credito e penne da scrittura, richiede l’utilizzo di etanolo al 75% per garantirne la disinfezione (Yang et al. 2020).
L’eccessivo consumo di sostanze chimiche ha prodotto due ordini di problemi: uno è strettamente legato all’inquinamento da recipienti di plastica contenenti gel per l’igienizzare le mani e simili. L’altro è, invece, legato all’individuo: l’abuso di sostanze chimiche per igienizzare può portare a reazioni cutanee e infiammazioni.
Per approfondire, leggi igienizzanti mani: quali rischi per uomo e ambiente.
Alternative non chimiche per igienizzare
Le alternative sono i gas ionizzati per la purificazione dell’aria e il plasma freddo per la sanificazione delle mani e delle superfici.
In questo caso, il vantaggio è la riduzione di materie plastiche e la riduzione di sostanze chimiche immesse sul mercato, per non parlare degli scarti da laboratorio da smaltire durante la produzione di gel, saponi e sostanze igienizzanti a base alcolica.
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COVID-19 e inquinamento: le politiche plastic free
La direttiva del Consiglio dell’Unione Europea, circa l’utilizzo di piatti, posate e cannucce di plastica, sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2021. Il COVID-19 ha cambiato i piani, in quanto, uno dei metodi di prevenzione principale, finora, è stato l’utilizzo di dispositivi di protezione monouso.
Mascherine e camici in TNT, guanti in lattice e altri prodotti in plastica sono davvero l’unica soluzione di prevenzione contro virus e batteri? In occasione del Giorno della Terra 2020 (Aprile 2020), in piena pandemia, il movimento Beyond Plastic ha rilasciato un documentario di cui alleghiamo il trailer.
Uno studio (Chen, 2021), condotto sulle mascherine, ha rivelato come siano delle fonti di diffusione di microplastiche nell’ambiente, ancor prima di essere gettate via e smaltite. La tendenza delle mascherine a deteriorarsi rivela che rilasciano nell’ambiente materiale plastico.
Altri dati rivelano come nella città di Wuhan, la prima ad aver adottato un lockdown ferreo, i rifiuti cittadini arrivarono ad oltre 200 tonnellate al giorno. In questa stima, vanno considerati tutti gli articoli monouso che i singoli cittadini e le ditte di pulizia negli ospedali utilizzavano e gettavano immediatamente per scongiurare il contagio.
Questi articoli sono composti da materiale vario (neomateriali e TNT) e, quindi, non riciclabili. Inoltre, sono a grande rischio di infezione, vanno quindi subito smaltiti nel modo corretto. Il problema è la velocità con cui vengono utilizzati e gettati via.
Mascherine, guanti, camici, teli in TNT hanno una vita brevissima e lo smaltimento corretto diventa vitale. Ovviamente, tutti i DPI utilizzati in ambito ambulatoriale ed ospedaliero sono da considerare come rifiuti sanitari, potenzialmente pericolosi.
Gli articoli di prevenzione individuale utilizzati dai cittadini, invece, bisogna smaltirli come rifiuti indifferenziati, come suggerisce ISS (Istituto Superiore della Sanità).
Tuttavia, le prospettive non sono delle migliori. Basti pensare che con il costo del petrolio (elemento cardine nella produzione di materiale plastico e sintetico) che si abbasserà, i produttori di materiali plastici avranno vita facile.
Uno studio congiunto tra le Università di Nanchno (Cina) e San Diego (California) ha rilevato che la plastica che finisce negli oceani è trasportata, in larga parte, da 369 grandi fiumi. Quelli che hanno un impatto maggiormente catastrofico sono: il fiume Arvand, in Iraq, formato dalla confluenza del Tigri e dell’Eufrate, che sfocia nel Golfo Persico; il fiume Indo e lo Yangze in Cina, mentre in Europa il più inquinante è il Danubio.
COVID-19 e inquinamento: smaltimento mascherine e guanti
I numeri del rapporto COVID-19 e inquinamento, purtroppo, sono impietosi.
Ogni anno, ci sono 2 miliardi di tonnellate di rifiuti che il mondo sempre più popolato produce. Un numero destinato a crescere del 70% entro il 2050.
Il 16% della popolazione mondiale genera circa il 34% dei rifiuti globali: inutile dire che parliamo delle nazioni a reddito più elevato. E il fenomeno ha da qualche anno un simbolo: la plastica (WWF-Paper Plastica).Questo documento del WWF parla di dati allarmanti, riguardanti lo smaltimento mascherine e guanti:
- uso mondiale mensile di 129 miliardi di mascherine (3 milioni al minuto).
- 7 miliardi di dispositivi al giorno a livello globale (con l’Asia che rappresenta il 54% del consumo totale giornaliero)
- circa 900 milioni di mascherine al giorno solo in Europa.
Un’altra questione è quella degli imballaggi e delle buste di plastica. Il COVID-19 e i lockdown hanno determinato anche un incremento di acquisti online, questi che hanno determinato un eccesso ulteriore di imballaggi da smaltire, a discapito degli acquisti sfusi che richiedono imballaggi quasi nulli.
Lo scenario, pertanto, costringe ad un necessario cambio di rotta.
Bisogna adeguare tutte le disposizioni anti contagio in un’ottica di sostenibilità, per il bene dei mari e del pianeta. Ecco, quindi, che diventa fondamentale rivedere e riproporre le disposizioni sullo smaltimento dei DPI, trovando anche alternative per la prevenzione.
Un esempio sono le mascherine riutilizzabili, quelle per uso non sanitario o dispositivi di igienizzazione che non producano rifiuti chimici o plastici.
In pratica, bisogna limitare i danni del COVID-19 sull’ambiente. Quello che è già stato un disastro socio-economico, non deve peggiorare l’aspetto ambientale.
Durante la lotta al COVID-19, nei primi mesi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS ) ha stimato che, ogni mese, nel mondo erano necessarie 89 milioni di mascherine mediche, insieme a 76 milioni di guanti da visita e 1,6 milioni di set di occhiali protettivi.
Covid-19 e clima
Il blocco delle attività durante il lockdown, come detto, ha prodotto dei risultati migliori in termini di riduzione dei gas a effetto serra, di qualità dell’aria, di mari più puliti, dando una dimensione di ciò che si potrebbe fare attuando alcune leggi sull’ambiente.
Leggi che limitano le emissioni di CO2 a livello mondiale, che prevedono sanzioni in caso di mancato rispetto di paletti e condizioni specifiche. Questa insperata “serrata” delle attività ha avuto vita breve e, finito il lockdown, sta lentamente tornando tutto come prima. Si aspettano soluzioni a lungo termine dai grandi della Terra, anche perché l’argomento gas serra è prioritario.
Secondo uno studio, infatti, i virus possono essere favoriti dal clima. A temperature basse (tra 5 e 11° C) proliferano, mentre tendono a perdere efficacia a latitudini caldo-umide. Ulteriori studi, tuttavia, sono ancora in corso per appurare il legame tra clima, COVID-19 e inquinamento.
COVID-19 e inquinamento: fauna e flora
L’origine animale del COVID-19 e, prima ancora, di malattie come l’influenza aviaria o la suina ci indicano che ci sono diversi virus pronti a fare il salto di specie. Il fatto che, rispetto a decenni fa, queste malattie trasmesse dagli animali all’uomo (dette zoonotiche) siano più frequenti non è un caso.
La comparsa e la resistenza di questi agenti patogeni zoonotici è legata, inevitabilmente, al degrado ambientale dilagante ad ogni angolo del globo. Deforestazione, allevamenti intensivi, scioglimento dei ghiacciai, alterazioni delle migrazioni sono solo alcune delle conseguenze che molte specie animali affrontano a causa dell’uomo.
Il 60% delle malattie infettive umane provengono dagli animali (Woolhouse e Gowtage-Sequeria, 2005) e, in particolare, molti nuovi virus nascono dal bestiame degli allevamenti intensivi. Gli allevamenti ad alta intensità sono spesso ambienti malsani, in cui vive un numero di esemplari oltre la capienza consentita. Questi luoghi, in cui scarseggia l’igiene e il ricambio d’aria, favoriscono il proliferare di infezioni e malattie. Secondo uno studio, il 50% delle malattie infettive di origine animale deriva dall’agricoltura intensiva (Rohr, 2019).
Anche la deforestazione sconsiderata ha prodotto danni. La cementificazione o la ricerca smodata di sempre nuovi terreni da coltivare, infatti, non solo priva la Terra di vegetazione importante, ma incide sugli ecosistemi naturali.
Togliere spazi verdi impedisce la corretta riproduzione delle specie e influenza l’ecosistema naturale, favorendo le specie che sono vettori di malattie zoonotiche, come pipistrelli e roditori.
Esistono molti studi, dagli anni ’70 ad oggi, che calcolano ed analizzano l‘impatto dei disturbi umani sulla fauna selvatica, in particolare sugli uccelli nidificanti. Ridurre il disturbo nelle aree protette darebbe agli habitat minacciati la possibilità di riprendersi e proliferare.
Covid-19 e inquinamento acustico
Altro beneficio a breve termine del lockdown da COVID-19 è stata la sensibile riduzione di inquinamento acustico. I livelli di rumore sono strettamente correlati alla riduzione del traffico veicolare e aereo nei mesi di blocco e presentano diversi benefici.
Infatti, abbassando la soglia dell’inquinamento acustico, il lockdown ha prodotto risultati interessanti, come la riduzione dei disturbi del sonno, miglioramenti dal punto di vista cardiaco in soggetti sensibili.
Il rapporto tra COVID-19 e inquinamento, anche in questo caso, ha creato l’opportunità per una sorta di sperimentazione, che ha prodotto benefici immediati e che può dare il là a politiche ambientali per ridurre l’inquinamento acustico e non solo.
Sostenibilità ambientale e COVID-19: le prospettive
Proprio in ottica futura, il legame tra COVID-19 e inquinamento ci spinge a riflettere, per attuare politiche di sostenibilità ambientale che vadano oltre i risultati a breve termine sopra descritti.
Per sostenibilità si intende un processo che punta:
- a garantire nel presente una qualità di vita alta senza intaccare le risorse per le generazioni future,
- non distruggere i sistemi naturali da cui dipendiamo per vivere
- non oltrepassare il limite circa gli scarti e i rifiuti delle attività produttive.
Politiche ambientali in prospettiva
Nel Green Deal europeo, la Commissione europea si era già esposta, ambiziosamente, verso una sostenibilità a lungo termine. Ponendo al centro le preoccupazioni ambientali e climatiche di cui abbiamo parlato sopra.
La fermezza e la serietà della proposta si evince dagli stanziamenti già previsti a bilancio dall’UE: 1,1 trilioni di Euro per il periodo 2021-2027. In questo senso, è previsto un piano di ripresa dalla crisi economica derivante dalla pandemia, inoltre, la Commissione europea ha proposto un nuovo strumento finanziario denominato Next Generation EU , per un importo di 750 miliardi di euro.
In definitiva, se inquadrati all’interno di politiche ben definite, questi fondi aiuteranno l’Europa a trasformare la sua economia.
Si punterà alla sostenibilità e al raggiungimento gli obiettivi prefissati, prima dell’arrivo della pandemia: attuare politiche comunitarie in tema di clima, energia, trasporti e fiscalità atte a ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% (rispetto al 1990) entro il 2030.